Basilica di San Nicola. Alla
descrizione del grande santuario, rinomato nel mondo intiero, giova
premettere qui la leggenda, desunta dalla Storia di Bari
del Petroni e dal bel libro precitato: The Land of Manfred
(La Terra di Manfredi) della signora inglese Janet Ross.
Il 9 maggio del 1087 tre bastimenti entrarono nell'antico porto
di San Giorgio e tosto si apprese che a bordo d'uno di essi trovavansi
le sacre reliquie del gran santo, morto nella Licia (Asia Minore
antica) nel 326, e la cui tomba era divenuta un luogo di pellegrinaggio,
finchè l'illustre città di Mira non fu distrutta dai
Saraceni.
Grande era il fermento: clero e laici precipitaronsi verso la spiaggia
dietro l'arcivescovo, avviato in pompa magna a ricevere le sante
reliquie. Ma i marinai di Bari non vollero consegnarle, avendo fatto
voto di edificare una chiesa particolare per deporvele. Seguì
un vivo diverbio e pareva che San Nicola avesse a divenir causa
di guerra civile e di spargimento di sangue, quando il reverendo
Elia, abate dei Benedettini, amato e rispettato da tutti, entrò
in una barchetta e si recò a bordo di uno dei bastimenti,
ove «dopo aver adorato con molta divozione il sacro corpo
- come narra il precitato Petroni - rappaciò i marinai, dicendo
loro che non dovevano frapporre indugio a trasportare il loro tesoro
prezioso nella città, ove avrebbero mandato ad effetto il
loro voto; e che, se avevano fiducia in lui e depositavano le sacre
ossa nella sua chiesa, ei le avrebbe custodite gelosamente per restituirle
poi tosto non appena ultimata quella del loro voto. Ciò avvenne
e la cassa contenente le reliquie del santo fu trasportata dai monaci
Benedettini, in mezzo a gran concorso di popolo e deposta sull'altare
di San Benedetto. Marinai armati e popolani custodirono dì
e notte la cassa per tema che la fazione opposta se ne impadronisse».
Questa fazione opposta era capitanata dall'arcivescovo,
il quale agognava impadronirsi di questa fonte inesauribile di onore
e ricchezza per la sua cattedrale. I suoi atti e le sue parole divennero
così minacciosi, che si venne da ultimo alle mani fuori della
chiesa di San Benedetto e parecchi delle due fazioni rimasero uccisi.
I marinai, che stavano di guardia all'altare, tolsero le ossa di
San Nicola e le trasportarono, per una porticella, nell'antico palazzo
del magistrato greco, detto Corte del Catapano, ove le
deposero nell'antica chiesuola di Sant'Eustachio, credendo che,
essendo quella proprietà del sovrano, niuno si attenterebbe
di violarla.
Marinai armati e il buon vecchio abate Elia continuarono però
sempre a montar la guardia intorno al sacro deposito; ma l'arcivescovo
Ursone riuscì ad indurre il duca Ruggero a concedergli il
suddetto palazzo del Catapano affinchè le ossa di San Nicola
rimanessero almeno sotto la sua giurisdizione, visto ch'era impossibile
persuadere i marinai a depositarle nella sua cattedrale. In capo
a due mesi il vecchio palazzo del Catapano fu atterrato, e sulle
sue rovine incominciò a sorgere, per oblazioni incessanti,
la gran chiesa di San Nicola di Bari.
I marinai baresi, che tanto temevano fosse loro sottratto il santo,
l'avevano trafugato eglino stessi nella maniera seguente, narrata
dal precitato Petroni: «Tre bastimenti erano partiti da Bari,
carichi di grano, per Antiochia e, giunti nelle acque di Mira, tolsero
a ragionare del suo vescovo San Nicola e del bel colpo che verrebbe
lor fatto, liberando il sacro corpo dalle mani degli infedeli. Deliberarono
da ultimo di gittar l'àncora nel porto di Andriaco e d'inviare
a Mira un esploratore, il quale tornò con la nuova che la
città era piena di gente che celebrava un funerale, sì
che tramandarono l'impresa ad altro viaggio in cui, imbattendosi
con certi Veneziani, trovarono che anch'essi vagheggiavano l'idea
di rapire il corpo di San Nicola. I più coraggiosi fra i
marinai baresi proposero un colpo immediato, ma prevalse il consiglio
dei timidi, quando ecco levarsi un vento furioso, il quale impedì
ai bastimenti la partenza da Andriaco. Era questa un'ammonizione
dall'alto così evidente che, lasciando a bordo i paurosi,
quarantasette marinai bene armati e due sacerdoti di nome Lupo e
Grimoaldo, avviaronsi a Mira nascondendo le armi e chiedendo della
strada alla tomba del Santo. Giaceva essa in una valle solitaria
e pittoresca custodita da quattro monaci, i quali furono sopraffatti
di leggieri e costretti dalle minaccie ad additare il luogo preciso
ov'era sepolto S. Nicola. Rimossa la lapide marmorea furono trovate
le sue ossa galleggianti nella famosa cosidetta Manna di San
Nicola, e il prete Grimoaldo le avvolse tosto nel suo mantello.
Tornati a nordo sciolsero le vele ad un vento favorevole, trasportando
felicemente a Bari il sacro tesoro inviolato».
Nel 1087 fu dato mano alla costruzione della chiesa per deporvi
il Santo sopra un terreno dato in dono al duca Ruggero e, nel settembre
del 1089, papa Urbano II giunse in persona per consacrare la cripta
della nuova chiesa ed ungere Elia, arcivescovo di Bari, qual primo
grande priore di San Nicola, del grande e santo vescovo di Mira,
ch'era stato uno dei Padri che avevano condannato l'eresia ariana
nel concilio di Nicea. Il pontefice depose con le proprie mani le
sacre ossa nella tomba pronta a riceverle sotto l'altare (ove continuano
sempre a nuotare nel sacro liquido) e dichiarò il 9 maggio
festa solenne di San Nicola di Bari. Un po' più di cent'anni
dopo il vescovo Corrado, cancelliere imperiale, consacrò
la chiesa soprastante alla cripta in nome di papa Celestino III.
Ed ora che abbiamo narrato succintamente l'istoria
leggendaria passiamo alla descrizione della chiesa palatina e della
cripta, premettendo che le chiese palatine delle Puglie sono quattro:
questa di San Nicola di Bari, quella di Acquaviva delle Fonti, quella
d'Altamura, un gioiello d'arte architettonica, e quella di Monte
Sant'Angelo sul Gargano.
La chiesa di San Nicola, edificata coll'aiuto dei Normanni, più
che di una cattedrale, ha l'aspetto di una fortezza. E' in istile
riomanesco con carattere bisantino; ha sette porte, di cui la principale
va ornata di colonne basate sul dorso di animali singolari, rassomiglianti
ai coccodrilli; le porte anteriori e laterali sono fregiate di belli
arabeschi con animali (Fig. 5).
L'interno è pittoresco in sommo grado, diviso in tre navate
da colonne di disegno perfettamente classico; le navate laterali
sono a volta, mentre la centrale è armata di archi immensi
a distanze irregolari, d'un effetto pittoresco ma strano, per sostenere
il tetto scosso dai successivi terremoti.
Dietro la chiesa un rilievo curioso rappresenta alcuni miracoli
di San Nicola, fra cui il seguente assai noto fra il popolino. Mentre
stava facendo una visita diocesana il vescovo scese in un albergo,
il cui oste aveva il vezzo orribile di rubare i fanciulli, scannarli
ed imbandirne le tenere carni agli avventori. San Nicola non durò
fatica a riconoscere la carne umana postagli innanzi ed avviatosi
alla botte, ove l'oste la conservava in salamoia, recitò
una preghiera ed ecco tre fanciulle risorger tosto dalla botte vegete
e fresche come tre rose, per essere restituite alle loro povere
madri! (1)
A sinistra entrando v'è il sarcofago di Roberto Ckyurlia
di Bari, cancelliere di Calo I d'Angiò, assassinato da Roberto
di Fiandra, genero dello stesso Carlo, sulla medesima piazza di
Napoli, ove aveva pronunciata l'inumana sentenza di morte contro
l'infelice Corradino. Presso la porta a destra v'è il monumento
di Jacobus Bon con antica effigie. La terza cappella a
destra, dinanzi alla discesa nella cripta, è ornata di scolture
ricchissime. Le balaustre marmoree davanti al coro che circondano
le due discese nella cripta provengono ancora in parte dalla chiesa
primitiva.
L'altar maggiore è un'opera sontuosa
del secolo XVII; due ordini di bei stalli corali separano lo spazio
intermedio dai bracci laterali; musaici di carattere quasi arabico,
adornano la parte rialzata dello spazio posteriore. Notevoli tre
seggi, dei quali il più antico vuolsi servisse all'incoronazione
di Ruggero; il secondo per uso del re, che è di diritto il
primo canonico della chiesa, ed il terzo pel priore nelle solenni
occasioni: è un seggio cospicuo sorretto da tre figure umane
coricate e da un elefante.
Dalla navata centrale si passa, sotto un arco trionfale a sesto
tondo, sorretto da due grandi pilastri, al Sancta Sanctorum
e, saliti i gradini dell'arco, ergonsi, dopo la balaustra, due colonne,
a cui si appoggiano tre archi minori, anch'essi a sesto tondo, congiungentisi
dall'altro lato ai pilastri dell'arco trionfale e terminanti in
una cornice ornata di fregi d'oro e di stemmi regali.
La mensa dell'altare è coperta da un elegantissimo tabernacolo
bisantino, con una bella piramide ottagona, in cui si osservano
due colonne di marmo prezioso, bellissimi capitelli con figure di
angeli alla greca ed un quadretto metallico rappresentante San
Nicola che incorona il re Ruggero II.
Intorno, nella curva dell'abside rispondente nella sua maestà
alle proporzioni della chiesa e ornati in origine di belle figure
a mosaico, ora di freschi assai mediocri, non veggonsi più
gli antichi sedili marmorei del coro sull'antico pavimento, anch'esso
in musaico, di cui non avanzano che pochi frammenti.
Dietro il coro havvi il monumento della regina Bona di Polonia,
figliuola di Gian Galeazzo Sforza (m. 1558) ed ultima duchessa di
Bari, che aveva redato dalla madre Isabella d'Aragona, vedova del
suddetto Gian Galeazzo; la statua della duchessa inginocchiata,
sul sarcofago di marmo nero, è mirabile per la dolcezza e
pacatezza del volto. Il monumento è opera veneziana del 1593
e reca l'iscrizione seguente: Poloniae Sigismundus III Rex.
Anna Regina Poloniae.
Sotto il monumento ammirasi un curiosissimo trono arcivescovile
del 1098, ordinato dall'arcivescovo Elia in commemorazione del gran
Concilio contro gli errori della Chiesa greca, adunato in questa
chiesa, non sì tosto compiuta. La sua spalliera poggia sur
un leone avente fra gli unghioni una testa umana (un ornato che
credesi una reminiscenza del trono di Salomone) e il davanti è
sorretto da due arabi semi-inginocchiati (in commemorazione dell'occupazione
saracenica di Bari nel secolo IX) e dalla strana figura di un uomo,
con in capo un berretto a cono ed in mano un bastone. Il superbo
tabernacolo gotico, eretto nei primordii del 1120 dall'abate Eustachio,
contiene una rappresentazione dell'incoronazione di re Ruggero II
per l'antipapa Anacleto. Un pilastro, che vuolsi tramutato da legno
in ferro per un miracolo di San Nicola, è cinto di una ringhiera
per preservarlo dalle graffiature dei fedeli.
A destra dell'altar maggiore, nella cappella di San Martino, ammirasi
la Madonna coi Santi Giacomo, Nicola
e due vescovi, di Bartolomeo Vivarini da Murano (1476, sfortunatamente
ristaurata nel 1737); nella lunetta Cristo coi Santi
Francesco e Nicola, dello stesso (1465). Nella scala
per scendere nella cripta, scolture greche di sarcofago anteriori
al Cristianesimo.
La pittoresca cripta (fig. 7), o chiesa sotterranea, saracenica,
con le sue ventotto basse e fitte colonne, dai capitelli riccamente
variati, e le sue maravigliose combinazioni di luce e di ombra,
rammenta, in piccole proporzioni, la moschea di Cordova, e credesi
costruita dai medesimi artisti siciliani, che lavorarono nei palazzotti
semi-moreschi di La Zisa e La Cuba e nella cattedrale di Monreale,
che abbiamo descritto nella provincia di Palermo.
Il marchese Pietro Selvatico, nel 2° volume delle Arti del
disegno in Italia (p. 447), la vien così descrivendo:
«La cripta di San Nicola di Bari è piantata su una
quantità di colonne coi fusti per un terzo d'altezza sepolti
nel pavimento. I capitelli si allargano sui fusti e portano sopra
l'abaco ciascuno un enorme dado a ovolo con due listelli di finimento.
Questi dadi superiormente presentano un'ampia superficie e servono
ciascuno di sostegno ad una diramazione di tre o quattro arcate,
secondochè si trovano su colonne libere o sui pilastri mezzo
implicati nei muri laterali; ogni quadrato d'arcata regge una volta
a crociera semi-lombarda, nella quale non si possono riconoscere
le intersezioni degli spicchi, perché tutte ricoperte di
stucchi moderni e decorazioni posteriori, come lo sono gli intradossi
degli archi».
La cripta è sempre stipata di pezzenti, che chiedono l'elemosina,
e di pellegrini che strisciansi sulle ginocchia sino all'altare
del santo, ove un prete dà loro a bere acqua mescolata alla
Manna di San Nicola, che vuolsi trasudi dalle sue ossa.
Nella gran festa del santo, il 9 maggio e sette giorni successivi,
torme di pellegrini giungono dall'Albania e dalla Russia, di cui
San Nicola è il santo patrono. Un breve servizio religioso
preludia alla distribuzione della manna. Indi un prete prostrasi
all'altare e, alzatosi, cacciasi da ultimo sino a mezzo il corpo
nella tomba del santo, ne attinge il liquore e lo dà a bere
ai fedeli prostrati (2).
In fondo alla scala, che mette alla chiesa soprastante, è
la tomba dell'arcivescovo Elia, l'abate benedettino sotto il quale
fu edificata, come abbiamo narrato, la chiesa e le cui virtù
sono commemorate in versi latini sui gradini dell'altar maggiore.
Qui orò, nel 1094, Pietro d'Amiens, più noto col nome
di Pier l'Eremita, pel buon successo della prima crociata,
e qui Boemondo fece sue le divozioni prima di partir per la Palestina.
Urbano II tornò, nel 1098, a Bari, e nella chiesa soprastante
tenne, come più sopra è detto, il celebre concilio
contro la chiesa greca. San Nicola di Bari fu scelto per luogo d'incoronazione
dei re d'Italia e di Sicilia; vi furono infatti incoronati re Ruggero
nel 1131, l'imperatore Enrico VI, sua moglie Costanza e re Manfredi.
Di ciò cantò Torquanto Tasso in quei versi:
Bari,
che a' suoi regi albergo scelse
Fortuna, e dič corona e insegne eccelse (3). |
IL TESORO. - E' molto ricco ed interessante,
a far capo dall'altare d'argento che racchiude le reliquie di S.
Nicola. Fu lavorato, nel 1686, da Domenico Marinelli e surrogò
quello donato da Orosio «re di Rascia, Dioclea, Albania, Bulgaria
e di tutta la costa dell'Adriatico sino al Danubio», intorno
al 1319, il quale antico altare fu probabilmente fuso in un con
le lampe, i candelieri e la fasciatura in argento dell'intera volta,
come narra Beatillo. Magnifiche le due croci con fleur-de-lis
smaltati, dono di Carlo d'Angiò; celebri il breviario di
Carlo II d'Angiò e la corona ferrea, lavorata nel 1131 a
Bari pel re normanno Ruggero e con la quale furono anche incoronati,
come abbiamo detto, l'imperatore Enrico VI, sua moglie Costanza
e Manfredi (4). Una crocellina d'oro racchiude
un pezzetto della vera croce. Un altro reliquiario, in forma di
una piccola cattedrale, è tutta una massa di gemme e smalto,
con in cima i Dodici Apostoli per ornamento; vi si conserva
dentro in una bottiglietta di cristallo il sangue di San Pantaleone.
Dei dodici grossi candelieri di cristallo di rocca non rimangono
che due; gli altri furono rubati in varie volte.
Molti altri oggetti preziosi serbansi nel Tesoro, oltre un antico
curioso dipinto rappresentante San Nicola e parecchi messali
alluminati.
____________________
(1) Questa leggenda viene
così narrata nel seguente canto popolare in dialetto:
Santo Nicola a la Taverna ieva,
Era vigilia e nun se commarava,
Disse a lu Tavernaro n'avimmo niente?
E l'ora è tarda e bulimo mangiane.
Tengo un barilotto de tunnina
Tanto ch'è bello nun se po' assaggianne,
Santo Nicola ce fece la croce
E tre fanciulle fece resciuscitane.
Benedetto Dio e santo Nicola
A fatto tre miracoli di gioia
(F. Corazzini, I Componimenti minori della letteratura popolare
italiana).
(2) In San Nicola di Bari, chiesa palatina,
fu celebrata, nell'ottobre del 1896, la conversione al cattolicesimo
della principessa Elena del Montenegro, sposa del principe ereditario
Vittorio Emanuele. Questa basilica fu scelta molto opportunamente
per la cerimonia perchè San Nicola è un santo comune
alle due chiese greca e latina. La basilica di Bari, come le altre
palatine delle Puglie, comecchè composta di una chiesa grandiosa,
sì da gareggiare con le più monumentali, e servita
da un gran numero di canonici con rendite lautissime, non è
che una cappella privata della Corona. Nel suo stile, maestoso e
severo, cui danno maggiore imponenza i quattro cortili che la circondano,
è, come abbiamo visto, un bel monumento dell'architettura
greco-normanna.
Da una splendida monografia, pubblicata dal giovane studioso V.
E. Pizzorni, si rileva che la basilica fu compiuta nella prima metà
del secolo XII e che, sotto i Normanni e sotto gli Svevi, andò
aumentando i suoi privilegi e le sue concessioni che crebbero, non
più superate, sotto gli Angioini. L'amministrazione dei beni,
come delle altre chiese palatine della Puglia, è puramente
civile ed è affidata ad un regio delegato, il quale ha l'incarico
di devolvere a beneficienza e pubblica istruzione tutta la parte
spettante alla Corona. Così la città di Bari ha visto
sorgere nei cortili di San Nicola la Scuola d'arti e mestieri Umberto
I che, come giustamente osserva il Pizzorni, è il degno
monumento della palatinità sabauda di questa basilica. Se
Carlo II d'Angiò dotava per San Nicola ben cento ecclesiastici,
Umberto I, senza venir meno all'onore del culto ed alla dignità
del tempio, ha dato modo, in isplendidi locali, di istruirsi e perfezionarsi
nel lavoro a ben duecento giovani. Il buon andamento dell'amministrazione
civile ha offerto alla Corona il modo di concorrere, nella beneficenza
cittadina e privata barese, con moltissimi assegnamenti.
(3) Qui cade in
acconcio recar le date ed i nomi di quanti sovrani e principi fecero
atto di venerazione e di ossequio al santo patrono di Bari nella
Basilica Palatina: nel 1089 Ruggero, duca di Puglia, figliuolo di
Roberto Guiscardo; nel 1097 Boemondo, fratello di Ruggero, signore
di Bari; nel 1101 Costanza, figliuola di Filippo re di Francia;
nel 1117 Grimoaldo Alferanito, principe di Bari; nel 1137 Rainulfo
conte d'Alife, eletto nel medesimo anno duca di Puglia; nel 1137
Lotario II della Casa di Sassonia; nel 1139 Ruggero, fondatore della
monarchia di Sicilia; nel 1150 Gugliemo I; nel 1172 Gugliemo II;
nel 1195 Arrigo VI di Svevia; nel 1198 Costanza di Altavilla, imperatrice;
nel 1233 Federico II di Svevia; nel 1258 re Manfredi; nel 1260 Balduino
II, figliuolo di Pietro Courtenay della Casa di Francia, imperatore
latino; nel 1294 Carlo II d'Angiò; nel 1319 Orosio di Serbia;
nel 1359 Roberto d'Angiò, principe di Taranto; nel 1384 Ludovico
d'Angiò; nel 1399 Ladislao; nel 1465 Ferrante di Aragona;
nel 1502 Isabella di Aragona, duchessa di Bari; nel 1531 Bona Sforza,
già regina di Polonia, duchessa di Bari; nel 1741 Carlo III
Borbone; nel 1808 Giuseppe Bonaparte; nel 1813 Gioacchino Murat;
nel 1849 e 1859 Ferdinando II; nel 1878 Umberto I re d'Italia, felicemente
regnante; nel 1892 finalmente lo Czar regnante di Russia, allora
granduca.
(4) Scrive il Pizzorni: «L'enumerazione
dei preziosi doni fatti da Carlo II d'Angiò alla Basilica
pro thesauro et nomine thesauri occuperebbero di per sè
una pagina. E' un vero catalogo di suppellettili sacre, di paramenti
sacerdotali, di mitre e anelli pontificali, croci, reliquiari, pissidi,
libri corali, di quanto poteva allora immaginarsi per rendere al
culto la più splendida pompa e il maggior decoro. I numerosi
spogli patiti dal tempio assottigliarono però di molto questa
preziosa collezione; e oggi restano soltanto la croce d'argento
contenente un pezzo della Santa Croce, una delle spine che trafissero
il capo di Cristo, la quale nel venerdì santo dicono rosseggiare
di sangue, un pezzo della sua veste inconsutile, uno della spugna,
con cui fu abbeverato sul Calvario, due candelabri di cristallo
di rocca, ornati d'argento ad opus Veneciarum (cioè
di fattura veneziana) e molti libri corali».
Vai
alla pagina successiva
Vai a Bari com'era
|