Tratto da Geografia dell'Italia, di G. Strafforello, 1899
Parte 7. Cenni storici.

 

Cenni storici. Barion, Barium e Bari tuttora, una delle città più ragguardevoli dell'Italia meridionale, non pare godesse di un'uguale considerazione nei tempi antichi. Non se ne trova menzione nell'istoria, prima della conquista dell'Apulia pei Romani e noi non abbiamo contezza della sua orgine; ma le sue monete attestano ch'essa ricevè di buon'ora molta influenza greca, probabilmente dalla vicina Taranto, e dimostrano che essa doveva essere un luogo di qualche considerazione nel III secolo av. C.
E' mentovata incidentalmente da Livio (XL, 18) ed Orazio (Sat., I, 5, 97) ne parla come di una città pescatrice:

Postera tempestas melior; via pejor ad usque
Bari moenia piscosi

Anche Tacito ne fa menzione come di un municipio dell'Apulia e il nome di Barium rinviensi in Strabone, in Plinio e negli altri Geografi fra le città appartenenti all'Apulia.
La sua situazione sulla via Appia, del pari che il suo porto, contribuirono a preservarla dalla decadenza; ma non pare si alzasse sopra la condizione di una ordinaria città municipale se non dopo la caduta dell'Impero d'Occidente.
Radelgiso, principe di Benevento, prima invitò come alleati i Saraceni di Sicilia a Bari, ove divennero il terrore di tutto il paese all'intorno. Li tradì in seguito a Ludovico II e quando questi venne, nell'851, con Guido di Spoleto a pacificare e comporre le cose nell'Italia meridionale, i Saraceni furono disarmati ed uccisi a tradimento. L'emiro di Sicilia, Abbas-Ibn-Fadhi, giurò di vendicarli e, presa Taranto nell'852, gittò in Bari tante forze ch'essa divenne la città principale del regno maomettano in Italia. Nel volgere di pochi anni al suo luogotenente venne fatto di strappare ai Bisantini e ai Longobardi le principali città dell'Apulia e della Calabria, finché si ribellò al suo sovrano e prese il titolo di sultano.
I patimenti della popolazione cristiana giunsero da ultimo alle orecchie di Ludovico, il quale era divenuto in quel mezzo imperatore. Egli discese alla testa d'un esercito germanico, ingrossato dai suoi sudditi italiani e, nell'866, incominciò contro il sultano di Bari una guerra che durò cinque anni ed ebbe fine con la presa della città.
Ma i Maomettani ridivennero in breve onnipotenti nel rimanente della provincia, e fu Basilio I, il ristauratore della potenza militare di Bisanzio, che li espulse finalmente dall'Apulia nell'885, dopo una lotta di nove anni, quando Bari divenne la sede del Catapano o governatore greco, il cui palazzo sorgeva dov'è ora la chiesa di San Nicola.
Come scrive il Petroni nella sua diffusa Storia di Bari, «quantunque i Musulmani fossero invisi per la loro ferocia ed empietà, non pertanto le provincie meridionali d'Italia vanno loro debitrici del loro grande commercio coll'Oriente e del miglioramento agrario; segnatamente per l'introduzione della coltivazione del cotone, una specie del quale chiamasi sempre dai contadini bambagia turchesca».
Nel 1002 l'infelice città fu assediata di bel nuovo dai Saraceni, e salvata dalla squadra veneziana sotto il comando del doge Pietro Orseolo II. Dopo circa ottant'anni Bari accolse con lagrime di gioia e grandi feste le ossa di San Nicola di Mira, rapite e trasportate da suoi marinai, come già abbiamo narrato.
Nel 1095 Pietro l'Eremita predicò in Bari la prima crociata, e l'anno seguente vi accorsero in folla i crociati, pei quali fu fondato un ospedale speciale presso la chiesa di San Giovanni. L'Ulisse delle crociate, Boemondo, più alto d'un cubito degli uomini ordinari, prode in guerra, eloquente e persuasivo, vi giunse col suo giovane cugino Tancredi:

. . . e non è alcun fra tanti
Tranne Rinaldo, o feritor maggiore,
O più bel di maniere e di sembianti,
O più eccelso e più intrepido di cuore

...come cantò Torquato Tasso, e come disse un antico scrittore: «Anche la natura contribuì ad accrescere l'entusiasmo con una pioggia di stelle cadenti la notte del 4 agosto».
Il 3 ottobre del 1098 tutta Bari uscì fuori ad accogliere papa Urbano II (Eude od Odone), che aveva convocato in quella città i dignatari greci e latini della chiesa, inclusivi Anselmo arcivescovo d'Inghilterra, per definire il dogma della processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figliuolo. Il concilio si adunò nella cripta di San Nicola, disputò per una settimana ed ebbe fine con la scomunica dei Greci. Il duca Ruggero, avendo sposato la causa dell'antipapa Innocenzo II, invitò l'imperatore Lotario, il Sassone, a venirgli in aiuto in Italia. Ei pose piede, nel 1137, nell'Apulia e Bari si sottomise senza colpo ferire, tranne il castello che sostenne un assedio di quaranta giorni. Presa che fu la piccola, ma valorosa guarnigione, di 500 uomini, fu tutta impiccata o gittata in mare, e spianato il castello. Il papa raggiunse Lotario a Bari; Taranto ed altre città inviarono la loro sottomissione e l'imperatore nominò duca d'Apulia il conte Rainolfo, suo cognato.
La guerra desolò di nuovo per due anni l'infelice paese, finchè Rainolfo d'improvviso morì a Troja e il papa, fatto prigione da Ruggero, fu forzato ad incoronarlo re di Sicilia e duca d'Apulia.
Bari sostenne un assedio di due mesi, fu presa da ultimo per fame e vide i suoi cittadini principali impiccati a dozzine alle finestre delle loro case. Non pago d'uccidere i vivi, re Ruggero mosse guerra ai morti, dissotterrando il corpo del suo principale antagonista Brunone, arcivescovo di Colonia, ch'era stato sepolto nella cattedrale di Bari, e facendolo trascinare ignominiosamente per le strade. Egli riedificò il castello ed abolì tutte le libertà concesse alla città dai precedenti dominatori.
Nel 1156, avendo Bari sposato la causa dell'imperatore greco, fu agguagliata al suolo da Gugliemo il Malo, figliuolo di re Ruggero. La città rimase per sedici anni un cumulo di rovine, abitata soltanto da pochi pescatori e da alcuni poveri preti che non vollero abbandonare la chiesa di San Nicola, la quale rimase fortunatamente illesa con lieve danno. Gugliemo II, soprannominato il Buono, visitò allora l'infelice città ed assegnò ampie donazioni alle varie chiese e ai monasteri, e nel 1189 Bari rivide il suo porto ripopolato dalle navi dei Crociati sotto Federico I.
L'imperatore Arrigo VI, vago e signoril sembiante che sì laido e crudele animo aveva, come si esprime il Petroni, re di Sicilia per diritto della moglie Costanza, tenne un parlamento in Bari, ove la sua bellezza gli accaparrò a prima giunta tutti i cuori, disgustati poi tosto dal suo tradimento e dalla sua crudeltà.
Suo figlio, il grande imperatore Federico II, dimorò spesso nella patria di uno dei suoi consiglieri prediletti, Bernardo da Costa, arcivescovo di Bari e poi di Palermo, il quale rimase fedele al principe, che aveva amato fanciullo, nonostante le scomuniche lanciate contro di lui dai pontefici successivi. Federico accolse, nel 1220, in Bari il mite uomo di Dio, San Francesco d'Assisi, il poverello, il quale vi fondò un piccolo convento, soppresso poi dai Francesi. Vuolsi gli facesse un tiro lascivo, commemorato da un'iscrizione latina in una cappella dedicata appunto a San Francesco nel castello. Ma Federico ebbe caro il suo ospite mansueto, come quegli che inviò in Assisi un architetto tedesco, Jacobus ex Alemannia, a dirigere la fabbrica del famoso cenobio e della chiesa di San Francesco.
Il buon popolo di Bari si risentì amaramente dei seguenti versi latini che Federico, secondo il suo vezzo, fece inscrivere sopra una delle porte della città, quando gli abitanti sposarono le parti del papa contro di lui:

Gens infida Bari verbis tibi multa promittit,
Quae, velut imprudens, statim sua verba remittit:
Ideo, quae dico, tenebis corde pudico,
Ut nudos enses, studeas vitare Barenses;
Cum tibi dicit Ave, velut ab hoste cave.
(1)

Ma i baresi dimenticarono in breve l'insulto del bizarro imperatore, ed accolsero il prode e leggiadro suo figlio Manfredi con tutti gli onori, quando assunse il governo dell'Apulia e della Sicilia in nome del fratello suo Corrado, dopo la morte del loro padre, il grande imperatore Federico (nato nel 1194 in Jesi nella Marca d'Ancona, morto improvvisamente a Fiorentina presso Lucera nel 1250). In Bari Manfredi accolse Balduino imperatore di Costantinopoli, come viene narrando nel suo stile arcaico il vecchio cronista Matteo Spinelli: «Alli 7 di agosto lo imperatore de Costantinopoli jonse a Bari, che veniva da Venetia ed lo Re lo andao a trovare, et li feu assai cortesie e carezze. Et subito fece ponere in ordine una jostra et foro quattro manteneturi: cioè lo conte di Biccario, Messer Loffredo di Loffredo, Messer Tancredo di Vintemiglia et Messer Corrado de Spatafora. Lo jorno di S. Bartolomeo dello ditto anno 1259 fo fatta la jostra et foro ventidue aventurieri, ecc.».
Il vecchio cronista di Giovinazzo tira innanzi a nominare i ventidue campioni della giostra e le loro divise; ma le seguenti quattro pagine del suo manoscritto sono così malconce che mal vi si può leggere, cotalchè la descrizione del torneo e delle feste, che gli tennero dietro, andò perduta per noi.
Dopo la morte di re Manfredi, Bari accolse il suo vincitore, Carlo d'Angiò, il quale fece magnifici doni al santuario di San Nicola, ma impose alla città tali gravezze e v'introdusse ed acquartierò tanti soldati che un altro cronista, Saba Malaspina, quantunque quelfo lasciò scritto che i Baresi andavano dogliosi, esclamando: «Oh! re Manfredi, noi non ti abbiamo conosciuto vivo; ora ti piangiamo estinto. Tu ci sembravi lupo rapace fra le pecorelle di questo regno, dacchè per la nostra volubilità ed incostanza siam caduti sotto il presente dominio, tanto da noi desiderato, ci accorgiamo in fine che tu eri un agnello mansueto. Ora sì che conosciamo quanto fosse dolce il governo tuo, posto in confronto dell'amarezza presente. Riusciva a noi grave in addietro che una parte delle nostre sostanze pervenisse alle tue mani; troviamo ora che tutte, e, quel ch'è peggio, anche le persone, vanno in preda a gente straniera».
Nel secolo XIV Bari divenne un ducato, e dai Del Balzo passò ad Attendolo Sforza; finchè, nel 1500, fu ceduto ad Isabella d'Aragona. Bella, virtuosa e dotata di ingegno, ella era stata educata accuratamente dalla madre, Ippolita Sforza, una delle donne più sapienti e più colte dei tempi suoi, circondata sempre da uomini dotti e cospicui. A 18 anni sposò il suo cugino Gian Galeazzo Sforza, avvelenato poco appresso dallo zio Ludovico il Moro. Isabella era assai versata nella musica e nella poesia, come attesta un suo sonetto pubblicato nel 1493 in Milano da Bellincione. Dopo di essere stata maltrattata e carcerata da Ludovido il Moro, ottenne, dopo ch'ei fu deposto da Luigi XII di Francia, il ducato di Bari in compenso della sua dote e vi fu accolta con gli onori dovuti alle sue disgrazie ed alla sua bontà. Molti Milanesi le tennero dietro a Bari, ove si diede tutta alla educazione della sua figlia Bona ed al bene dei suoi sudditi, dai quali fu tanto amata che la città, con deliberazione decurionale 30 marzo dell'anno 1515, le cedè volontariamente porzione delle sue entrate.
Nel 1517 Bona fu maritata per procura a Sigismondo, re di Polonia, e la magnificenza del suo ingresso in Napoli, ove fu accolta dagli inviato polacchi, fece maravigliare gli abitanti. Andò sposa il 6 dicembre e fu imbandito un gran banchetto, a cui presiedè, abbigliata di raso turchino veneziano, tempestato di api in oro battuto e con in capo un diadema di perle e pietre preziose. Il banchetto durò nove ore, dalle 2 del pomeriggio alle 11 di notte, e Giuliano Passero, nel suo Giornale, ci ha tramandato il menu o catalogo delle imbandagioni (2).
Il 26 dicembre la regina Bona partì da Napoli per Manfredonia, donde imbarcossi l'ultimo di febbraio e giunse, il 10 aprile del 1518, in Cracovia, ove il re l'accolse con gran pompa ed imbandì un altro lauto banchetto, che durò otto ore.
Isabella di Aragona morì nel 1524, lasciando il ducato di Bari alla figliuola, la quale, rimasta vedova nel 1548, volle, nonostante le preghiere del figlio e delle figlie, far ritorno a Bari. Essa vi tenne una corte brillante, frequentata dagli artisti e dagli eruditi, fra i quali Scipione Ammirato, che vi passò qualche tempo nel suo viaggio da Firenze a Lecce. La regina Bona morì nel novembre del 1558, fu seppellita, come abbiamo detto più sopra, in San Nicola di Bari e lasciò il ducato e le sue dipendenze a Filippo II re di Spagna e di Napoli.
Bari soffrì assai pei terremoti degli anni 1254, 1267 e 1730.
Dei suoi vescovi, ora arcivescovi, abbiamo notizia sin dal VI secolo. Furonvi tenuti concilii da papa Urbano II, come abbiamo visto; dall'antipapa Anacleto nel 1131, dall'arcivescovo Antonio Puteo nel 1564 e nel 1628 dall'arcivescovo Ascanio Gesualdo, patriarca di Costantinopoli.

 

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(1) «Questa gente infida di Bari molto ti promette a parole che si rimangia poi tosto. Perciò tienti bene a mente quel che ti dico: scansati dai Baresi, come da spade sguainate, e quando ti dicono Salve, guardatene come da nemici».

(2) «Ora, che è tanto in voga la pubblicazione su per i giornali dei menu degli odierni banchetti, rechiamo qui in nota, a titolo di curiosità, questo antichissimo:
In primis pignolata in quattro con natte et attonata jelatina.
Insalata d'herbe.
Lo bollito et bianco magnare con mostarda con l'ordine suo.
Li coppi di picciuna.
Lo arrusto ordinario con mirrausto et salza de vino agro.
Le pizze sfogliate.
Lo bollito salvaggio con putaggio ungaresco et preparata.
Li pasticci de carne.
Li pagoni con sua salza.
Le pizze fiorentine.
Lo arrosto selvaggio et strangolapreti.
Le pasticelle de carne.
La zuppa nauma.
Lo arrosto de fasani.
Almongiavare.
Li capuni coperti.
Le pizze bianche et appresso gelatina in gotti.
Conigli con suo sapore.
Li guanti.
Le starne con lemoncelli.
Li pasticci di cotogne.
Le pizze pagonazze.
Le pasticelle di zucchero.
Alla tavola della signora Regina fo fontana de odure, fo misso castagne di zuccaro con lo scacchiero, le nevole et procapa.
Levaro la prima tavola e l'aqua a mano di buon odore.
Confetti».

 

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