Cenni storici. Barion,
Barium e Bari tuttora, una delle città più
ragguardevoli dell'Italia meridionale, non pare godesse di un'uguale
considerazione nei tempi antichi. Non se ne trova menzione nell'istoria,
prima della conquista dell'Apulia pei Romani e noi non abbiamo contezza
della sua orgine; ma le sue monete attestano ch'essa ricevè
di buon'ora molta influenza greca, probabilmente dalla vicina Taranto,
e dimostrano che essa doveva essere un luogo di qualche considerazione
nel III secolo av. C.
E' mentovata incidentalmente da Livio (XL, 18) ed Orazio (Sat.,
I, 5, 97) ne parla come di una città pescatrice:
Postera
tempestas melior; via pejor ad usque
Bari moenia piscosi |
Anche Tacito ne fa menzione come di un municipio
dell'Apulia e il nome di Barium rinviensi in Strabone, in Plinio
e negli altri Geografi fra le città appartenenti all'Apulia.
La sua situazione sulla via Appia, del pari che il suo porto, contribuirono
a preservarla dalla decadenza; ma non pare si alzasse sopra la condizione
di una ordinaria città municipale se non dopo la caduta dell'Impero
d'Occidente.
Radelgiso, principe di Benevento, prima invitò come alleati
i Saraceni di Sicilia a Bari, ove divennero il terrore di tutto
il paese all'intorno. Li tradì in seguito a Ludovico II e
quando questi venne, nell'851, con Guido di Spoleto a pacificare
e comporre le cose nell'Italia meridionale, i Saraceni furono disarmati
ed uccisi a tradimento. L'emiro di Sicilia, Abbas-Ibn-Fadhi, giurò
di vendicarli e, presa Taranto nell'852, gittò in Bari tante
forze ch'essa divenne la città principale del regno maomettano
in Italia. Nel volgere di pochi anni al suo luogotenente venne fatto
di strappare ai Bisantini e ai Longobardi le principali città
dell'Apulia e della Calabria, finché si ribellò al
suo sovrano e prese il titolo di sultano.
I patimenti della popolazione cristiana giunsero da ultimo alle
orecchie di Ludovico, il quale era divenuto in quel mezzo imperatore.
Egli discese alla testa d'un esercito germanico, ingrossato dai
suoi sudditi italiani e, nell'866, incominciò contro il sultano
di Bari una guerra che durò cinque anni ed ebbe fine con
la presa della città.
Ma i Maomettani ridivennero in breve onnipotenti nel rimanente della
provincia, e fu Basilio I, il ristauratore della potenza militare
di Bisanzio, che li espulse finalmente dall'Apulia nell'885, dopo
una lotta di nove anni, quando Bari divenne la sede del Catapano
o governatore greco, il cui palazzo sorgeva dov'è ora la
chiesa di San Nicola.
Come scrive il Petroni nella sua diffusa Storia di Bari,
«quantunque i Musulmani fossero invisi per la loro ferocia
ed empietà, non pertanto le provincie meridionali d'Italia
vanno loro debitrici del loro grande commercio coll'Oriente e del
miglioramento agrario; segnatamente per l'introduzione della coltivazione
del cotone, una specie del quale chiamasi sempre dai contadini bambagia
turchesca».
Nel 1002 l'infelice città fu assediata di bel nuovo dai Saraceni,
e salvata dalla squadra veneziana sotto il comando del doge Pietro
Orseolo II. Dopo circa ottant'anni Bari accolse con lagrime
di gioia e grandi feste le ossa di San Nicola di Mira, rapite
e trasportate da suoi marinai, come già abbiamo narrato.
Nel 1095 Pietro l'Eremita predicò in Bari la prima crociata,
e l'anno seguente vi accorsero in folla i crociati, pei quali fu
fondato un ospedale speciale presso la chiesa di San Giovanni. L'Ulisse
delle crociate, Boemondo, più alto d'un cubito degli
uomini ordinari, prode in guerra, eloquente e persuasivo, vi giunse
col suo giovane cugino Tancredi:
.
. . e non è alcun fra tanti
Tranne Rinaldo, o feritor maggiore,
O più bel di maniere e di sembianti,
O più eccelso e più intrepido di cuore |
...come cantò
Torquato Tasso, e come disse un antico scrittore: «Anche la
natura contribuì ad accrescere l'entusiasmo con una pioggia
di stelle cadenti la notte del 4 agosto».
Il 3 ottobre del 1098 tutta Bari uscì fuori ad accogliere
papa Urbano II (Eude od Odone), che aveva convocato in quella città
i dignatari greci e latini della chiesa, inclusivi Anselmo arcivescovo
d'Inghilterra, per definire il dogma della processione dello Spirito
Santo dal Padre e dal Figliuolo. Il concilio si adunò nella
cripta di San Nicola, disputò per una settimana ed ebbe fine
con la scomunica dei Greci. Il duca Ruggero, avendo sposato la causa
dell'antipapa Innocenzo II, invitò l'imperatore Lotario,
il Sassone, a venirgli in aiuto in Italia. Ei pose piede, nel 1137,
nell'Apulia e Bari si sottomise senza colpo ferire, tranne il castello
che sostenne un assedio di quaranta giorni. Presa che fu la piccola,
ma valorosa guarnigione, di 500 uomini, fu tutta impiccata o gittata
in mare, e spianato il castello. Il papa raggiunse Lotario a Bari;
Taranto ed altre città inviarono la loro sottomissione e
l'imperatore nominò duca d'Apulia il conte Rainolfo, suo
cognato.
La guerra desolò di nuovo per due anni l'infelice paese,
finchè Rainolfo d'improvviso morì a Troja e il papa,
fatto prigione da Ruggero, fu forzato ad incoronarlo re di Sicilia
e duca d'Apulia.
Bari sostenne un assedio di due mesi, fu presa da ultimo per fame
e vide i suoi cittadini principali impiccati a dozzine alle finestre
delle loro case. Non pago d'uccidere i vivi, re Ruggero mosse guerra
ai morti, dissotterrando il corpo del suo principale antagonista
Brunone, arcivescovo di Colonia, ch'era stato sepolto nella cattedrale
di Bari, e facendolo trascinare ignominiosamente per le strade.
Egli riedificò il castello ed abolì tutte le libertà
concesse alla città dai precedenti dominatori.
Nel 1156, avendo Bari sposato la causa dell'imperatore greco, fu
agguagliata al suolo da Gugliemo il Malo, figliuolo di
re Ruggero. La città rimase per sedici anni un cumulo di
rovine, abitata soltanto da pochi pescatori e da alcuni poveri preti
che non vollero abbandonare la chiesa di San Nicola, la quale rimase
fortunatamente illesa con lieve danno. Gugliemo II, soprannominato
il Buono, visitò allora l'infelice città
ed assegnò ampie donazioni alle varie chiese e ai monasteri,
e nel 1189 Bari rivide il suo porto ripopolato dalle navi dei Crociati
sotto Federico I.
L'imperatore Arrigo VI, vago e signoril sembiante che sì
laido e crudele animo aveva, come si esprime il Petroni, re
di Sicilia per diritto della moglie Costanza, tenne un parlamento
in Bari, ove la sua bellezza gli accaparrò a prima giunta
tutti i cuori, disgustati poi tosto dal suo tradimento e dalla sua
crudeltà.
Suo figlio, il grande imperatore Federico II, dimorò
spesso nella patria di uno dei suoi consiglieri prediletti, Bernardo
da Costa, arcivescovo di Bari e poi di Palermo, il quale rimase
fedele al principe, che aveva amato fanciullo, nonostante le scomuniche
lanciate contro di lui dai pontefici successivi. Federico accolse,
nel 1220, in Bari il mite uomo di Dio, San Francesco d'Assisi,
il poverello, il quale vi fondò un piccolo convento,
soppresso poi dai Francesi. Vuolsi gli facesse un tiro lascivo,
commemorato da un'iscrizione latina in una cappella dedicata appunto
a San Francesco nel castello. Ma Federico ebbe caro il suo ospite
mansueto, come quegli che inviò in Assisi un architetto tedesco,
Jacobus ex Alemannia, a dirigere la fabbrica del famoso
cenobio e della chiesa di San Francesco.
Il buon popolo di Bari si risentì amaramente dei seguenti
versi latini che Federico, secondo il suo vezzo, fece inscrivere
sopra una delle porte della città, quando gli abitanti sposarono
le parti del papa contro di lui:
Gens
infida Bari verbis tibi multa promittit,
Quae, velut imprudens, statim sua verba remittit:
Ideo, quae dico, tenebis corde pudico,
Ut nudos enses, studeas vitare Barenses;
Cum tibi dicit Ave, velut ab hoste cave. (1) |
Ma i baresi dimenticarono in breve l'insulto
del bizarro imperatore, ed accolsero il prode e leggiadro suo figlio
Manfredi con tutti gli onori, quando assunse il governo dell'Apulia
e della Sicilia in nome del fratello suo Corrado, dopo la morte
del loro padre, il grande imperatore Federico (nato nel
1194 in Jesi nella Marca d'Ancona, morto improvvisamente a Fiorentina
presso Lucera nel 1250). In Bari Manfredi accolse Balduino imperatore
di Costantinopoli, come viene narrando nel suo stile arcaico il
vecchio cronista Matteo Spinelli: «Alli 7 di agosto lo imperatore
de Costantinopoli jonse a Bari, che veniva da Venetia ed lo Re lo
andao a trovare, et li feu assai cortesie e carezze. Et subito fece
ponere in ordine una jostra et foro quattro manteneturi: cioè
lo conte di Biccario, Messer Loffredo di Loffredo, Messer Tancredo
di Vintemiglia et Messer Corrado de Spatafora. Lo jorno di S. Bartolomeo
dello ditto anno 1259 fo fatta la jostra et foro ventidue aventurieri,
ecc.».
Il vecchio cronista di Giovinazzo tira innanzi a nominare i ventidue
campioni della giostra e le loro divise; ma le seguenti quattro
pagine del suo manoscritto sono così malconce che mal vi
si può leggere, cotalchè la descrizione del torneo
e delle feste, che gli tennero dietro, andò perduta per noi.
Dopo la morte di re Manfredi, Bari accolse il suo vincitore, Carlo
d'Angiò, il quale fece magnifici doni al santuario di San
Nicola, ma impose alla città tali gravezze e v'introdusse
ed acquartierò tanti soldati che un altro cronista, Saba
Malaspina, quantunque quelfo lasciò scritto che i Baresi
andavano dogliosi, esclamando: «Oh! re Manfredi, noi non ti
abbiamo conosciuto vivo; ora ti piangiamo estinto. Tu ci sembravi
lupo rapace fra le pecorelle di questo regno, dacchè per
la nostra volubilità ed incostanza siam caduti sotto il presente
dominio, tanto da noi desiderato, ci accorgiamo in fine che tu eri
un agnello mansueto. Ora sì che conosciamo quanto fosse dolce
il governo tuo, posto in confronto dell'amarezza presente. Riusciva
a noi grave in addietro che una parte delle nostre sostanze pervenisse
alle tue mani; troviamo ora che tutte, e, quel ch'è peggio,
anche le persone, vanno in preda a gente straniera».
Nel secolo XIV Bari divenne un ducato, e dai Del Balzo passò
ad Attendolo Sforza; finchè, nel 1500, fu ceduto ad Isabella
d'Aragona. Bella, virtuosa e dotata di ingegno, ella era stata educata
accuratamente dalla madre, Ippolita Sforza, una delle donne più
sapienti e più colte dei tempi suoi, circondata sempre da
uomini dotti e cospicui. A 18 anni sposò il suo cugino Gian
Galeazzo Sforza, avvelenato poco appresso dallo zio Ludovico il
Moro. Isabella era assai versata nella musica e nella poesia, come
attesta un suo sonetto pubblicato nel 1493 in Milano da Bellincione.
Dopo di essere stata maltrattata e carcerata da Ludovido il Moro,
ottenne, dopo ch'ei fu deposto da Luigi XII di Francia, il ducato
di Bari in compenso della sua dote e vi fu accolta con gli onori
dovuti alle sue disgrazie ed alla sua bontà. Molti Milanesi
le tennero dietro a Bari, ove si diede tutta alla educazione della
sua figlia Bona ed al bene dei suoi sudditi, dai quali fu tanto
amata che la città, con deliberazione decurionale
30 marzo dell'anno 1515, le cedè volontariamente porzione
delle sue entrate.
Nel 1517 Bona fu maritata per procura a Sigismondo, re di Polonia,
e la magnificenza del suo ingresso in Napoli, ove fu accolta dagli
inviato polacchi, fece maravigliare gli abitanti. Andò sposa
il 6 dicembre e fu imbandito un gran banchetto, a cui presiedè,
abbigliata di raso turchino veneziano, tempestato di api in oro
battuto e con in capo un diadema di perle e pietre preziose. Il
banchetto durò nove ore, dalle 2 del pomeriggio alle 11 di
notte, e Giuliano Passero, nel suo Giornale, ci ha tramandato il
menu o catalogo delle imbandagioni (2).
Il 26 dicembre la regina Bona partì da Napoli per Manfredonia,
donde imbarcossi l'ultimo di febbraio e giunse, il 10 aprile del
1518, in Cracovia, ove il re l'accolse con gran pompa ed imbandì
un altro lauto banchetto, che durò otto ore.
Isabella di Aragona morì nel 1524, lasciando il ducato di
Bari alla figliuola, la quale, rimasta vedova nel 1548, volle, nonostante
le preghiere del figlio e delle figlie, far ritorno a Bari. Essa
vi tenne una corte brillante, frequentata dagli artisti e dagli
eruditi, fra i quali Scipione Ammirato, che vi passò qualche
tempo nel suo viaggio da Firenze a Lecce. La regina Bona morì
nel novembre del 1558, fu seppellita, come abbiamo detto più
sopra, in San Nicola di Bari e lasciò il ducato e le sue
dipendenze a Filippo II re di Spagna e di Napoli.
Bari soffrì assai pei terremoti degli anni 1254, 1267 e 1730.
Dei suoi vescovi, ora arcivescovi, abbiamo notizia sin dal VI secolo.
Furonvi tenuti concilii da papa Urbano II, come abbiamo visto; dall'antipapa
Anacleto nel 1131, dall'arcivescovo Antonio Puteo nel 1564 e nel
1628 dall'arcivescovo Ascanio Gesualdo, patriarca di Costantinopoli.
____________________
(1) «Questa gente infida di Bari molto
ti promette a parole che si rimangia poi tosto. Perciò tienti
bene a mente quel che ti dico: scansati dai Baresi, come da spade
sguainate, e quando ti dicono Salve, guardatene come da
nemici».
(2) «Ora, che è tanto in voga la
pubblicazione su per i giornali dei menu degli odierni
banchetti, rechiamo qui in nota, a titolo di curiosità, questo
antichissimo:
In primis pignolata in quattro con natte et attonata jelatina.
Insalata d'herbe.
Lo bollito et bianco magnare con mostarda con l'ordine suo.
Li coppi di picciuna.
Lo arrusto ordinario con mirrausto et salza de vino agro.
Le pizze sfogliate.
Lo bollito salvaggio con putaggio ungaresco et preparata.
Li pasticci de carne.
Li pagoni con sua salza.
Le pizze fiorentine.
Lo arrosto selvaggio et strangolapreti.
Le pasticelle de carne.
La zuppa nauma.
Lo arrosto de fasani.
Almongiavare.
Li capuni coperti.
Le pizze bianche et appresso gelatina in gotti.
Conigli con suo sapore.
Li guanti.
Le starne con lemoncelli.
Li pasticci di cotogne.
Le pizze pagonazze.
Le pasticelle di zucchero.
Alla tavola della signora Regina fo fontana de odure, fo misso castagne
di zuccaro con lo scacchiero, le nevole et procapa.
Levaro la prima tavola e l'aqua a mano di buon odore.
Confetti».
Vai alla pagina successiva
Vai a Bari com'era
|